Cambiamenti Cerebrali

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Nel corso dell’ultimo decennio c’è stato un aumento esponenziale dell’utilizzo di internet e, in particolare, dei nuovi social. Questo ha portato a delle mutazioni all’interno della nostra testa: alcune facoltà cerebrali si stanno indebolendo, causando così un cambiamento comportamentale in molti soggetti.

I “mutamenti” cerebrali sono molti, e questi influiscono sulle nostre azioni e sul nostro modo di agire.

I temi che verranno trattati sono i seguenti:


DIPENDENZA

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Come abbiamo già visto, la dipendenza da smartphone e social media è un problema serio al giorno d’oggi: ormai nessuno esce di casa senza avere a portata di mano il cellulare; indispensabile anche per facilitare le nostre esperienze, viaggi e situazioni quotidiane.

Con esso è facile comunicare con chiunque e in ogni luogo; per non parlare del fatto che lo smartphone è un alleato nelle situazioni di emergenza.

Un po’ di dati sulla dipendenza da smartphone:

  • In Italia la percentuale delle persone che utilizzano uno smartphone è passata dal 15% nel 2009 a un 73,8% nel 2019.
  • Circa la metà degli italiani controlla il cellulare dopo lo spegnimento della sveglia al mattino o come ultimo gesto prima di coricarsi la sera.
  • Una ricerca Cisco Systems (un’azienda multinazionale specializzata nella fornitura di apparati di networking) ha rivelato che 3 persone su 5 preferiscono trascorrere più tempo libero a consultare lo smartphone piuttosto che passarlo insieme al proprio coniuge.
  • Secondo i dati raccolti dall’ACI (ente pubblico con funzioni di promozione, controllo e indirizzo informativo nel settore automobilistico) nel 2017, 3 incidenti stradali su 4 sono causati dalla distrazione, nella maggior parte dei casi questa distrazione è per colpa del guidatore che usa il telefono alla guida.
  • Nella maggior parte dei casi, chi soffre di questo tipo di dipendenza, non riesce ad allontanarsi dal proprio smartphone per più di 20 cm.
  • Secondo l’Ansa (agenzia di informazione multimediale in Italia) un utente su tre controlla whatsapp ogni cinque minuti circa: cioè fino a 12 volte all’ora.
  • Uno studio svolto dalla University of San Diego ha dimostrato che l’80% degli americani interrompe una conversazione con una persona o i pasti per rispondere o controllare il cellulare.

MULTITASKING E FRAMMENTAZIONE DELL’ATTENZIONE

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Negli ultimi anni si è cominciato a parlare di “multitasking”, cioè l’abilità di seguire e gestire più compiti contemporaneamente.

Il termine multitasking è nato in informatica come la capacità di un software di svolgere più operazioni nello stesso momento; questa parola, in seguito, ha iniziato a venire utilizzata per descrivere l’abilità di una persona nel gestire più lavori o mansioni contemporaneamente.

Si pensa che una persona è multitasking perché riesce a tenere più cartelle aperte sul proprio dispositivo: per esempio sappiamo navigare su Instagram e avere le cartelle di altri social aperte, pronte per essere consultate.

In verità diversi studi, qui sotto elencati, dimostrano il contrario. Trascorrere infatti molto tempo sui social fa si che il nostro cervello diventi sempre meno capace nel passare da un compito ad un altro, sia sul proprio smartphone che nei compiti manuali.

Anzi, con l’avvento dell’era digitale siamo diventati più facilmente distraibili e quindi meno efficienti.

ATTENZIONE DIVISA

L’attenzione divisa si basa sulla teoria delle risorse multiple dell’attenzione. Questa dice che noi siamo capaci di svolgere più azioni contemporaneamente perché ogni area del cervello corrisponde a un’attività differente.

In realtà l’uomo, per svolgere un compito, utilizza gran parte delle risorse cognitive (le quali non sono illimitate); se gli viene aggiunto un altro compito, queste risorse non sono sufficienti per poter soddisfare la nuova richiesta. Si ha quindi un calo delle prestazioni.

CONTROLLO COGNITIVO NEI MULTITASKER

Secondo uno studio svolto all’università di Standford nel 2009, le persone che venivano definite come multitasking hanno dimostrato un’apprezzabile incapacità nel saper ignorare ciò che gli distraeva, e svolgevano quindi il loro compito con più difficoltà.

Gli elementi di distrazione sono degli stimoli come, ad esempio, l’arrivo di una e-mail o una notifica.

Questo studio è stato coordinato da Eyal Ohpir, il quale dice che i multitasker che hanno partecipato al test riferirono: “non potevamo fare a meno di pensare a quello che non stavano facendo”.

MULTITASKING E CORTECCIA CINGOLATA ANTERIORE

Nel 2014 l’università di Sussex (nell’Inghilterra meridionale) ha confermato il fatto che gli utenti che spesso usano più dispositivi digitali, come smartphone, tablet e computer, presentano una diminuzione della densità della materia grigia (in quanto, non venendo utilizzata, si atrofizza) di una parte del cervello, della quale abbiamo già parlato: la Corteccia Cingolata Anteriore (ACC).

È quindi colpita una regione molto importante, cioè quella parte che controlla le funzioni di controllo sia emotive che cognitive.

DANIEL J. LEVITIN

Il neuroscienziato Daniel J. Levitin, direttore del Laboratory for Music, Cognition and Expertise alla McGill University, nel 2015, ha voluto effettuare un ulteriore studio sul multitasking.

È emerso che il cercare di fare più operazioni nello stesso momento, non solo ci rende meno efficienti, ma aiuta anche all’esaurimento delle funzioni cerebrali.

Daniel J. Levitin riferisce che, per aumentare le nostre prestazioni cognitive, sarebbe utile non pensare al multitasking come l’abilità di fare più cose contemporaneamente, ma all’abilità di riuscire a passare facilmente da un compito ad un altro.


SINDROME DA VIBRAZIONE FANTASMA

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Con “sindrome da vibrazione fantasma” si intende la sensazione che si percepisce quando si pensa che il proprio smartphone o tablet abbia ricevuto una notifica.

Nello specifico, si ha la percezione che il dispositivo vibri o suoni, ma quando poi lo si va a controllare si nota che non sono arrivate notifiche.

Il 90% delle persone intervistate sostiene di avere questa sensazione almeno una volta ogni due settimane. Il motivo? Come ben sappiamo i cellulari ci accompagnano ormai in ogni momento della nostra giornata, e noi li consultiamo spesso per controllare i social o le e-mail.

Il nostro cervello quindi, abituato al fatto che noi abbiamo lo smartphone sempre con noi, lo interpreta come “parte di noi”.

Abbiamo sentito più volte persone lamentarsi dei giovani e dire che il telefono al giorno d’oggi sembri quasi il prolungamento del nostro braccio. In effetti è proprio così: gli smartphone vengono interpretati dalla nostra testa come “arti fantasma”; si ha quindi una reazione simile a quella che si manifesta quando si ha un arto amputato. Capita infatti che, a chi viene amputato un arto, il cervello continui a sentire il dolore o la sensazione tattile della gamba o del braccio che non c’è più. Questo succede perché il sistema nervoso e la corteccia sensomotoria “sentono” ancora di avere la parte mancante del corpo.

Analogamente questo succede anche a noi quando “stacchiamo la spina” e non utilizziamo il cellulare e i social. La nostra testa elabora una sorta di allucinazione che ci porta a credere che questo stia vibrando.

Si ipotizza che, il numero delle volte in cui abbiamo questa sindrome da vibrazione fantasma, sia direttamente proporzionale al numero di ore in cui usiamo i dispositivi tecnologici.

Anche gli utenti che soffrono di nomofobia (paura di restare disconnessi dalla rete internet) sono più inclini a soffrire di questo problema.

Ma perché lo si può ritenere un problema? Le persone che hanno questa percezione molto spesso possono arrivare, anche se in rari casi, a sviluppare:

  • ansia
  • sintomi depressivi
  • sintomi cognitivi (come un deficit dell’attenzione oppure avere un’ipervigilanza)
  • disturbi dell’umore

La prima volta che si è sentito parlare di questo fenomeno è stata nel 2003, quando Robert D. Jones, un editorialista del New Pittsburgh Courier, ha pubblicato per la prima volta un articolo che parlava proprio della “sindrome da vibrazione fantasma”. Questo articolo si riferiva infatti a queste sensazioni immaginarie di vibrazioni e suoni.

Da quel momento sono nati studi a riguardo:

TEORIA DELLE CONTRAZIONI MUSCOLARI

Secondo questa teoria, queste sensazioni sono generate da una errata interpretazione di diversi stimoli, come delle piccole contrazioni muscolari o lo spostamento degli indumenti che indossiamo.

TEORIA DELLA DOPAMINA

Quest’altra teoria dice che l’arrivo delle notifiche sul nostro smartphone stimola la produzione della dopamina, la quale rafforza sempre di più il bisogno di stimoli. Si ha quindi una situazione analoga ad una sorta di crisi di astinenza.

Uno studio dell’ANSA, condotto da Robert Rosenberger, parla proprio di questo problema. L’autore dice:

Si percepiscono e scambiano come vibrazioni del cellulare quelli che in realtà sono i piccoli e frequenti spasmi muscolari. […] E’ sorprendente quante persone ne soffrano. Un recente studio condotto tra studenti universitari – continua – ha segnalato che il 90% di loro dice di provare queste vibrazioni fantasma, anche se la cosa non sembra irritarli. […] Ci sono due teorie – conclude – Una è che la tecnologia sta modificando il nostro cervello, l’altra è che siamo semplicemente ansiosi. Tutti questi diversi tipi di tecnologie, tra cui email e messaggi finiscono per rendere nervosi e irritabili per il dover rispondere a messaggi e posta”

Robert Rosenberger

RILASCIO DI DOPAMINA ED EGOCENTRISMO

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Sono stati fatti ulteriori studi sul come reagisce il cervello quando siamo impegnati ad usare i social media. In particolare si è voluto esaminare il sistema della ricompensa e la produzione di dopamina.

Quello che si è scoperto è che, quando stiamo partecipando ad una conversazione, il rilascio del neurotrasmettitore dopamina è maggiore quando parliamo di noi stessi; il sistema della ricompensa è invece meno attivo quando stiamo ascoltando.

Il problema è che, quando siamo impegnati in una conversazione “faccia a faccia”, tendiamo a parlare di noi solo per il 30-40% del tempo.

Diversi sono i numeri quando si tratta di social media: quando li usciamo passiamo l’80% del tempo a parlare solo di noi stessi.

Ciò accade perché ogni utente ha un proprio profilo dove pubblica le sue foto, i suoi video e i suoi commenti; anche nelle nuove storie (Instagram, Facebook, Snapchat ecc.) per la maggior parte di esse, si parla di noi: di quello che ci accade, pubblichiamo foto sulle nostre vacanze, sulle nostre esperienze e spesso scriviamo su di noi.

L’utente online ha quindi uno spazio tutto suo dove può parlare di sè senza limiti; come visto, in questo caso viene rilasciata molta dopamina che stimola il circuito della ricompensa.

In poche parole più siamo egocentrici e più il nostro cervello ci ricompensa rendendoci più felici. In questo modo saremo sempre più propensi ad usare i social piuttosto che avere relazioni nel mondo reale.


RELAZIONI INTERPERSONALI

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Le relazioni interpersonali sono cambiate dall’avvento dei social media ad oggi? Sicuramente si. Basti pensare al fatto che sono cambiati i modi di interagire tra di noi: è molto più facile trovare nuovi amici e conoscere persone nuove, inoltre la comunicazione è diventata immediata.

Il cambiamento sostanziale sta nel fatto che i social hanno amplificato e reso più semplice fare le cose che già facevamo, annullando quindi le barriere spazio temporali.

Alcune indagini sulle relazioni interpersonali con l’utilizzo dei social media e in particolare dei social network:

AUSTRALIAN PSYCHOLOGICAL SOCIETY

L’Australian Psychological Society ha voluto condurre un test su come internet ha influito nelle relazioni umane. Le persone intervistate sono state 2.3 milioni, alcune di queste avevano un profilo sui social network mentre le altre non erano presenti online.

I dati emersi analizzando le interviste delle persone che utilizzavano i social sono i seguenti:

  • il 28% degli intervistati ha sperimentato almeno un’esperienza negativa sul web (per esempio episodi di cyberbullismo, liti online oppure conversazioni con persone che nascondevano una falsa identità)
  • il 53% ha sostenuto che, grazie ai nuovi media, la possibilità di restare in contatto con parenti e amici è aumentata notevolmente
  • il 26% di loro si è visto diventare più incline alla partecipazione sociale
  • il 25% delle persone tra i 31 e i 50 anni ha incontrato un nuovo partner online, mentre, dal 21% di questi sono nate delle relazioni intime anche nella vita offline
UNIVERSITÀ DI CHICAGO

Non solo con i social è più facile trovare un partner, ma l’università di Chicago ha fatto una ricerca e la scoperta è che le relazioni nate su internet sono in media più stabili di quelle nate offline.

Il motivo è abbastanza semplice: quando si conosce qualcuno online si sa già quelli sono le sue passioni e i suoi interessi, ancor prima dell’incontro dal vivo.

PERSONE ESTROVERSE

Altri studi hanno dimostrato che le persone con un carattere estroverso tendono ad utilizzare i social come mezzo per farsi conoscere, nonché per elevare la loro posizione sociale.

PERSONE INTROVERSE

Per le persone con un carattere più introverso invece, usare internet rappresenta uno strumento importante per “fuggire” dalla realtà e rifugiarsi in una sorta di mondo che le gratifica. Così facendo riescono, in un certo senso, a trovare un posto dove si possono sentire a loro agio.

F.O.M.O.

Il termine F.O.M.O. è nato negli ultimi anni e la sigla sta per Fear Of Missing Out. Si parla quindi della paura di perdersi degli eventi importanti (o meno) quando non si può essere connessi a internet.

Una ricerca chiamata Connected World II ha potuto constatare che questo fenomeno è in forte crescita. Il sondaggio riporta che il 64% dei partecipanti soffre di F.O.M.O. e non riesce quindi a rinunciare a internet.

Ad ogni modo gli esperti sostengono che le relazioni online non possono sostituire completamente le amicizie offline. In quanto l’essere umano ha bisogno di confrontarsi faccia a faccia con gli altri.


DISTURBO DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE (DCA)

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L’evoluzione digitale, essendo in continua evoluzione, è riuscita negli anni a migliorare la risoluzione delle fotografie; anche di quelle scattate con lo smartphone.

È nato però un problema legato ai disturbi del comportamento alimentare. Il motivo si trova nel fatto che i social media più usati dai giovani si basano su una comunicazione di tipo visiva; un esempio è Instagram che è il social network più usato per condividere le proprie foto. Quindi, essendo noi costantemente esposti a degli stereotipi quasi irraggiungibili, si è potuto notare un notevole aumento di persone che presentano dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).

Alcuni adolescenti cercano a tutti i costi di raggiungere l’ideale condiviso di perfezione e magrezza.

A far peggiorare la situazione, fino a qualche anno fa erano diffuse delle community all’interno delle quali venivano postate immagini che incitavano, per esempio, all’anoressia, contenuti e consigli su come dimagrire. Ovviamente i metodi di dimagrimento non erano per nulla sani, ma volti a portare il proprio corpo al limite.

Negli ultimi anni le piattaforme hanno iniziato un percorso per censurare immagini e contenuti di questo tipo. Anche molti hashtag disfunzionali sono stati banditi. Anzi, hanno veicolato l’utente verso pagine e gruppi motivazionali, nati per supportare i membri, e per darsi forza l’un l’altro.

Nel 2021 erano più di 3 milioni i ragazzi in Italia che soffrivano di disturbi del comportamento alimentare; mentre in tutto il mondo si stima che le persone che soffrono di DCA sono 70 milioni.


INTERNET E MEMORIA

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L’esposizione continua ad internet ha danneggiato anche la memoria. La memoria a lungo termine (MLT), che è contenuta nel cervello, ha una durata che può variare da qualche minuto fino a un tempo indefinito.

È un archivio avente una capacità pressoché illimitata, dove vengono immagazzinate tutte le conoscenze che abbiamo acquisito durante il corso della nostra vita, insieme a quelle che corrispondono al nostro carattere o temperamento. Sempre in questo archivio ci sono stipate tutte le nostre esperienze più importanti, cioè quelle che più ci hanno segnato.

Gran parte di questo tipo di memoria avviene all’interno della corteccia cingolata anteriore.

Come ha fatto internet a danneggiare la memoria a lungo termine? La risposta sta nella quantità di informazioni che possiamo ricercare sul web. Queste aumentano ogni giorno e ne vengono costantemente aggiunte: al giorno d’oggi, per qualsiasi cosa si voglia sapere, basta cercare in internet per trovare un’enorme quantità di informazioni a riguardo.

Dunque, attingendo a notizie che si trovano in un archivio esterno alla nostra mente, questa non è più allenata e perde di capacità. Si può dire che la memoria della persona si impigrisce se non viene usata: spesso piuttosto di pensare intensamente al fine di ricordarci una cosa, preferiamo cercarla in internet per comodità; in questo modo la mente non è più allenata a ricordare e perde quantità ingenti di informazioni.

La connettività funzionale delle aree del cervello che formano la memoria a lungo termine si riduce. Allo stesso modo diminuisce anche la sincronizzazione di alcune aree cerebrali che servono per la formazione della memoria.

Internet viene utilizzato come una sorta di “memoria esterna”, ed è proprio questo che molti di noi faticano a ricordarsi molte cose.


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Social e Dipendenza

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L’essere umano, per natura, è un essere sociale che durante l’evoluzione ha sempre vissuto in piccole comunità.

Con la rivoluzione industriale, l’uomo ha preferito spostarsi verso le città, abbandonando così le comunità e iniziando uno stile di vita individualizzato.

L’istinto umano dello stare in una comunità non è cambiato: a compensare questa mancanza ci hanno pensato i social network, con la loro capacità di interagire con le persone hanno portato ad iscriversi sempre più utenti.

La funzione dei social è, infatti, quella di unire le persone in uno spazio comune che possa essere simile a quello delle comunità tradizionali (pub e bar).

Negli ultimi decenni la necessità di usare lo smartphone è aumentata notevolmente, tanto che la maggior parte della popolazione ha la possibilità di navigare in internet. Questo ha portato all’aumento dei casi di dipendenza da social media.

Il 51% dei giovani tra i 15 e i 20 anni dichiara di avere difficoltà a prendersi una pausa dai social media, e di controllare il cellulare molte volte al giorno.

Uno studio svolto da Social Warning spiega che in media il 79% dei giovani trascorre l’equivalente di 60 giorni interi sui social media, il che vuol dire 2 mesi l’anno passati a consultare il proprio smartphone.


DIPENDENZA IN PSICOLOGIA

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Dal 2013, con la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), il disturbo da dipendenze comportamentali (di cui fanno parte quelle da internet), sono state aggiunte con la denominazione “dipendenze patologiche comportamentali”.

Il disturbo da dipendenze da internet mostra caratteristiche molto simili a quelle del disturbo da dipendenza da sostanze.

Mark Griffiths, uno psicologo inglese, sostiene che ogni comportamento che soddisfi i sei criteri seguenti, può essere definito una dipendenza.

  • Salienza. La salienza è quella condizione in cui l’oggetto della dipendenza, in questo caso i social media, diventano l’attività più importante nella vita della persona, condizionando il pensiero, i sentimenti e il comportamento. Per esempio, se una persona non sta usando il telefono e non è online sui social, pensa costantemente alla prossima volta che lo sarà.
  • Modifica dell’umore. L’umore può subire delle variazioni rispetto a una condizione normale, quando si hanno dipendenze da social network: l’utente che non è connesso a internet potrebbe provare sensazioni di ansia e malumore, mentre invece quando è connesso può provare tranquillità nella sua fuga dalla realtà.
  • Tolleranza. Per tolleranza si intende quel processo per cui una persona con disturbo da dipendenza da internet ha bisogno di “dosi” sempre più elevate di tempo trascorso sullo smartphone. Il consumatore quindi deve aumentare gradualmente le dosi di internet per ottenere lo stesso effetto di tranquillità e piacere della volta precedente.
  • Sintomi di astinenza. I sintomi di astinenza si verificano quando la persona è impossibilitata ad usare i social media, per esempio quando è al lavoro. Questi sintomi, come per le dipendenze da sostanze, comprendono malumore, tremori e irritabilità. Per questo motivo la persona dovrà connettersi al più presto in modo da bloccarli.
  • Conflitto. Il conflitto si verifica tra la persona affetta da dipendenza e le persone che la circondano, ma non solo. Può essere un conflitto:
    • Interpersonale, cioè con altre persone;
    • Con altre attività. Il tempo passato sui social toglie tempo ad attività e hobby;
    • Intrapsichico. L’utente si rende conto di trascorrere ore sullo smartphone e può sentirsi in colpa e provare preoccupazione.
  • Ricaduta. La ricaduta è la tendenza a tornare ad usare l’oggetto della dipendenza dopo un periodo di tregua e di uso moderato del cellulare.

I principali sintomi di una dipendenza sono:

  • stato ansioso-depressivo;
  • ossessione per la propria immagine sui social;
  • mancanza di sonno;
  • paura di essere esclusi.

Il passaggio dall’uso normale all’uso eccessivo dei nuovi media si verifica quando lo stare sui social diventa importante per alleviare depressione, solitudine e stress.

Lo scopo delle terapie non è quello di azzerare l’utilizzo dei social da parte dei pazienti, ma quello di ridurne gradualmente l’utilizzo fino ad arrivare ad un uso normale degli stessi.

Il motivo è che nella società odierna l’uso di internet è comunque fondamentale, quindi non è possibile che la persona smetta di usare lo smartphone per navigare.


DIPENDENZA NEL CERVELLO

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La dipendenza interferisce con il circuito della ricompensa, e per questo è classificata come un disturbo neurologico.

Nello specifico, nel sistema della ricompensa viene coinvolto il neurotrasmettitore Dopamina, il quale viene trasmesso a partire dall’Area Ventro Tegmentale (VTA) del Mesencefalo, passa poi attraverso il Sistema Limbico e nella Corteccia Frontale (dove hanno luogo le funzioni esecutive come, ad esempio, il controllo delle emozioni, l’attenzione, la concentrazione e l’autocontrollo degli impulsi).

Come abbiamo già visto, lo svolgere attività piacevoli stimola il rilascio della dopamina all’interno del cervello.

La stimolazione di questo neurotrasmettitore è responsabile della sensazione di piacere che percepiamo dopo aver svolto delle attività che ci piacciono (come, per esempio, lo sport). Le molecole della dopamina vengono poi rimosse dallo spazio simpatico e riportate indietro al neurone trasmittente, da una proteina chiamata “trasportatore striatale della dopamina”, abbreviato con DAT.

La DAT, inoltre, è presente in minori quantità nelle persone affette da ansia e depressione.

È stato studiato che l’esposizione elevata è un utilizzo importante dei social media, accresce i livelli del neurotrasmettitore Dopamina, esattamente come avviene con l’abuso di sostanze come alcol, eroina e nicotina.

La continua stimolazione, col passare del tempo, sovraccarica i recettori dei neuroni e disorganizza il sistema della ricompensa.

Ciò che accade nella testa delle persone affette da dipendenza da internet, è la mancanza di reattività del cervello agli stimoli quotidiani; l’unica azione gratificante per l’individuo è l’interazione attraverso i social.

Per questo motivo la priorità degli utenti dipendenti è quella di collegarsi a internet.

Una ricerca condotta usando la risonanza magnetica (MRS) ha dimostrato che, le persone che presentano una dipendenza da smartphone hanno un volume di materia grigia inferiore a quello delle altre persone. In particolare le zone dove essa è presente in minor quantità sono l’insula (l’area che regola i processi emotivi e decisionali) e la corteccia temporale.

Nelle persone dipendenti dai social hanno scoperto anche un’attività ridotta della corteccia cingolata anteriore (ACC). La corteccia cingolata anteriore serve per valutare la rilevanza di emozioni e delle informazioni motivazionali; produce sensazioni soggettive e il coordinamento della risposta adeguata a eventi interni ed esterni.

Un’altra area cerebrale che viene coinvolta dal momento che si è dipendenti dai social è la corteccia orbitofrontale. In questa zona si è notata una riduzione di materia grigia, il che significa che viene compromessa la dimensione della “tolleranza”, la quale potrebbe determinare una dipendenza sempre maggiore.

Nel caso della dipendenza, per tolleranza, si intende la necessità di dover restare “connessi” per più tempo, in modo tale da riuscire ad ottenere la soddisfazione della volta precedente.

Un’altra conseguenza sarebbe quella dell’insorgere di deficit decisionali, che portano così la persona ad essere più impulsiva.

I soggetti che presentano una dipendenza da smartphone hanno più probabilità di interagire in modo disfunzionale:

  • con gli altri;
  • con l’ambiente;
  • con il proprio organismo.

Il motivo è che percepiscono in modo distorto i segnali esterni.


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Social e Società

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Negli ultimi decenni il mondo virtuale si è evoluto e con esso sono cambiate le abitudini delle persone e le loro percezioni sulla vita.

I social sono lo strumento giusto per connettere la popolazione senza distogliere completamente le persone dai propri impegni: avendo ormai la possibilità di avere sempre sottomano uno smartphone, le aziende e le organizzazioni politiche hanno scelto i social come mezzo di comunicazione, per farsi pubblicità e farsi conoscere.

Anche durante la pandemia, dal 2020 ad oggi, gli utenti hanno pubblicato messaggi di conforto e solidarietà nei confronti delle famiglie in difficoltà, ed era anche una maniera per sentirsi più vicini, in quanto mancava la possibilità dell’incontro fisico e della socializzazione vis a vis. Anche il classico incontro tra amici per l’aperitivo, è stato temporaneamente sostituito con videochiamate di gruppo. In ospedale, al posto delle visite dei parenti ai congiunti, si e ricorsi all’utilizzo della videocall.

Si è anche ricorso a consulenze mediche specialistiche online, onde evitare il diffondersi del contagio.

Le lezioni scolastiche, non potendosi più svolgere in classe, sono state gestite in DAD (didattica a distanza), utilizzando alcune piattaforme di social network, come Skype, Google Meet, Zoom e Teams.

I social media sono dunque un mezzo di comunicazione mondiale, in grado di avvicinare e aiutare le persone.

L’evoluzione digitale ha spinto le persone a voler conoscere i pensieri e le opinioni altrui.

C’è infatti da dire che i commenti che vengono postati sui social non sono sempre positivi, ma spesso sono messaggi provocatori e che possono essere ritenuti offensivi.

Non di rado le persone ignorano il peso delle parole e la loro capacità di diffondersi nel web, rischiando così di andare a ferire altri utenti o di scatenare “liti” all’interno della rete.


FAKE NEWS

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Un fenomeno creatosi e diffuso mediante la rete è quello delle “fake news” (notizie false o bufale); sono notizie inventate, errate o ingannevoli, scritte e pubblicate sul web con lo scopo di attirare l’attenzione del lettore al fine di disinformare, screditare, incitare e creare confusione.

Queste false informazioni sono di vario tipo e possono riguardare temi come la religione, la politica, la scienza e la medicina. Non è infatti raro trovare rappresentanti politici divulgare fake news con lo scopo di promuovere emozioni negative come rabbia e paura.


CYBERBULLISMO

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Un altro fenomeno importante, nato negli ultimi anni è quello del cyberbullismo, la versione online del bullismo: il cyber-bullo si differenzia dal classico bullo in quanto ha un campo d’azione molto più ampio. I bulli di solito agiscono soprattutto in ambiente scolastico mentre il bullismo online è sempre presente; l’utente che viene aggredito può ricevere messaggi offensivi durante tutto l’arco della giornata, e in qualsiasi luogo.

Altra differenza tra il bullismo classico e il cyberbullismo è che possono essere coinvolti sia ragazzi che adulti. Utenti di ogni età e luogo possono essere vittime di attacchi di bullismo online.

È risaputo che non serve avere un carattere particolarmente forte per diventare un cyberbullo; chiunque, anche chi nella vita reale è una persona molto calma, può diventare un cyber-bullo. Anzi, spesso sono le vittime stesse di bullismo che in rete offendono e aggrediscono altri utenti.

Non sempre chi attacca è un adolescente, come invece avviene a scuola: avendo tutti libero accesso ad internet, non è raro trovare adulti e persone di età avanzata intimidire altri utenti.

Visto che le proprie azioni vengono attribuite al proprio profilo utente, molte persone si “nascondono” dietro ai social per denigrare i profili più deboli. Avviene così una sorta di sdoppiamento della personalità.

Ciò che ne consegue è che le vittime possono presentare danni psicologici, anche prolungati nel tempo. I principali sono:

  • Ansia
  • Depressione
  • Sentimenti di isolamento
  • Abbassamento dell’autostima
  • Perdita di interesse per hobby
  • Abuso di sostanze quali alcol e droghe
  • Vergogna e imbarazzo

Prima dell’avvento di internet gli studenti presi di mira dai compagni avevano una “pausa” con la fine delle lezioni; adesso con la possibilità di trasmettere il nostro messaggio 24 ore su 24, la persona “cyberbullizzata” non ha tregua.

In certi casi il danno psicologico diventa talmente importante da portare al suicidio: c’è stato infatti un crescente numero di suicidi dalla nascita degli odierni social fino ad ora.

Di seguito la legge 71/2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, art. 1, comma 2:

Ai fini della presente legge, per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.

legge 71/2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, art. 1, comma 2

Perché si è così aggressivi davanti allo schermo? I sociologi dicono che il semplice fatto di essere “nascosti” innesca una sensazione di libertà espressiva e la specie umana si sente in grado di esternare l’aggressività latente, che alberga nel nostro inconscio.

Vengono quindi meno i freni inibitori che, normalmente, la tengono a bada.

Questa violenza esce non appena le condizioni lo permettono; è per questo che sentendoci protetti dietro ad un monitor, ci sentiamo liberi di giudicare e attaccare gli altri utenti, convinti di non avere ripercussioni.

Il fatto che siano molto rare le querele sui social per ciò che si scrive, autorizza l’uso di parolacce, prese in giro e accuse.

La stessa rabbia che si manifesta su internet, è simile a quella che viene fuori dai tifosi allo stadio.


PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE

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Antropologi, psicologi e sociologi si sono impegnati nello studiare il comportamento umano, e come questo muta quando viene influenzato dall’ambiente esterno.

Gli studiosi sono arrivati alla conclusione che esiste un quadro definito di valori, ideali e modelli di comportamento che da sempre viene imposto alla persona. Questo quadro di valori ci viene ereditato dai genitori con lo scopo di mantenerlo e trasmetterlo alle generazioni future; si tratta di un modello da seguire imposto direttamente o indirettamente dalla società: questo fenomeno si chiama processo di socializzazione.

È un processo attraverso il quale gli individui apprendono capacità, atteggiamenti e i comportamenti da usare nelle relazioni sociali.

Questi valori stanno cambiando drasticamente, ma la società non è ancora del tutto pronta ad accettarli.

La nascita di internet ha dato vita alla rivoluzione sociale più importante nell’ultimo secolo. I social media hanno cambiato:

  • La nostra vita
  • Il modo di rapportarci con noi stessi e con gli altri
  • Il nostro modo di comportarci
  • Il nostro modo di pensare
  • La nostra educazione

UN PO’ DI DATI

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Circa l’80% delle persone con accesso a internet predilige l’utilizzo dei social media dai dispositivi mobili (come smartphone e tablet). Gli utenti quindi preferiscono comunicare, condividere contenuti e consultare le notizie mentre sono in movimento. Uno dei motivi è il fatto che i computer non hanno le stesse funzionalità degli smartphone. Un esempio: con gli smartphone si possono scattare foto e postarle in tempo zero, mentre dal desktop fare ciò è impossibile.

La praticità e la comodità nel poter utilizzare il telefono ovunque e quando vogliamo, ha portato a una crescita importante del tempo trascorso online. In media infatti una persona interagisce con il telefono 2.617 volte al giorno, ma il numero può salire fino a 5.427 nei casi più estremi.

Si sa con certezza che sono i giovani adulti che utilizzano maggiormente i social media, ma anche il numero degli anziani che ne fanno uso sta aumentando.

Le persone di età compresa tra 16 e 29 anni trascorrono in media 3 ore al giorno solo su piattaforme di social network.

Gli adulti tra i 45 e i 54 anni passano mediamente 1 ora e 39 minuti sui social network.

La fascia di popolazione più colpita da questa rivoluzione è quella dei Millennials (generazione Y); persone nate tra l’inizio degli anni ‘80 e il 2000. Si tratta infatti della prima generazione che mostra dimestichezza nell’uso degli strumenti digitali.


CAMBIAMENTI NELLE RELAZIONI

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La cultura della partecipazione è un fenomeno ago sui social, e si basa sulla capacità delle persone di interagire liberamente tra di loro, oppure anche con organizzazioni e aziende.

I social media si dividono in due forme di comunicazione: la comunicazione sincrona e la comunicazione asincrona. Nel caso di quella sincrona si intendono i messaggi istantanei, le chat e i commenti sotto ai post; mentre un’interazione tipica della comunicazione asincrona è quella dei forum, dove si hanno discussioni che si sviluppano in tempi molto lunghi.

Come con il social SixDegrees, l’opportunità che i network ci offrono è quella di conoscere persone geograficamente lontane da noi, ma con interessi simili. Le “amicizie” sul web si cercano spesso guardando gli interessi, gli obiettivi e le passioni simili alle nostre. È per questo motivo che le relazioni interpersonali nate su internet si rivelano a volte più forti e durature di quelle nella vita offline.

Capita anche che una persona si senta in bisogno di comunicare i suoi sentimenti e le sue emozioni online, ancora prima di dire queste cose a voce alla persona accanto a sè.


ACQUISTI ONLINE

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Gli acquisti nell’era di internet non sono più gli stessi. Se una volta si valutavano le scelte d’acquisto con la propria cerchia di conoscenti stretti, ora la questione è diversa.

Confrontarsi con chi ci accompagna, sentire il proprio consiglio e affidarsi a ciò che altre persone ci hanno raccontato è un aspetto tipico dello shopping offline.

Se si vuole comprare qualcosa in negozio c’è il fattore temporale: è vero che comprando offline non si ha la possibilità di acquistare comodamente dal divano, ma dal momento che si è in negozio, dopo la scelta del prodotto, l’articolo lo si può avere tra le mani all’istante.

Il social shopping è l’atto di andare a ricercare le informazioni online riguardo al prodotto o servizio a cui si è interessati. Abbiamo un bisogno umano che ci spinge a comprare, ma con l’ausilio dei social il metodo per avere pareri sull’acquisto cambia: li si possono avere non solo dalla propria cerchia ristretta, ma da migliaia di persone.

Molte persone preferiscono cercare informazioni online per poi comprare il prodotto offline. Ciò viene chiamato dagli esperti Research Online Purchase Offline, ma a volte può esserci anche il caso contrario; ovvero si guarda e si tocca con mano il prodotto in negozio per poi tornare a casa, vedere le offerte migliori e comprarlo online.

Con micro moment si intendono tutti quei momenti del giorno in cui l’utente prende in mano lo smartphone o il tablet per cercare informazioni su quello che vorrebbe acquistare.

Lo svantaggio, quindi, dello fare shopping su internet è quello che non si possono vedere e toccare i prodotti; il vantaggio, invece, si trova nella grande varietà di recensioni che si trovano sulla rete.

Le tappe del processo d’acquisto di un prodotto o servizio, sono state studiate: prendiamo in considerazione il modello AIDA. L’acronimo significa:

  • Attenzione
  • Interesse
  • Desiderio
  • Azione

Concluse queste tappe si ha la fase della fidelizzazione: il cliente si affeziona al marchio e si interessa ad altri prodotti.


FORMAZIONE

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Un altro aspetto dell’avvento di internet è che adesso informarsi è molto più facile e immediato; a tutti è capitato di avere delle domande, prendere in mano il proprio telefono e trovare delle risposte in un brevissimo tempo. Ormai è raro che qualcuno decida di studiare dai libri in biblioteca, dato che anche sulla rete si trovano molte informazioni e che il tempo impiegato per fare ricerche è minore; inoltre molte nuove scoperte si possono trovare solo online.

I Millennials sono i primi a fare ricerche sul web: basta digitare delle keywords sul motore di ricerca, selezionare la fonte e leggere.

Adesso le informazioni possono raggiungerci in ogni momento della giornata e in qualunque luogo ci troviamo.


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Storia dei Social

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Al giorno d’oggi si parla molto di social network, ma c’è da sapere che il concetto di “rete sociale” esiste da moltissimo tempo: non si tratta solo di reti internet ma anche di reti fisiche, come i sindacati, le comunità religiose e in generale gruppi di persone unite da molteplici interessi che condividono e creano contenuti. Basti pensare che la prima rete sociale a cui ci dobbiamo confrontare è la famiglia; quindi quando parliamo di social network bisogna pensarlo come un concetto antico e concreto.

La nascita dei social media come li conosciamo oggi risale al 1971, data in cui fu inviata la prima e-mail tra due personal computer.

Si dovrà però aspettare l’inizio degli anni Novanta per la sua divulgazione di massa.

Infatti fu nell’ottobre 1990 che Timothy John Berners-Lee, un informatico britannico, scrisse il primo server per il World Wide Web al CERN di Ginevra.

Il 6 agosto 1991 sempre lui a pubblicò il primo sito internet al mondo “http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html” sempre presso il CERN. Da quel momento gli Internet Service Provider iniziarono ad offrire i privati la possibilità di collegarsi al web per usufruire dei primi servizi offerti dalla rete: la possibilità di avere un account e-mail, lettura delle news, shopping e community.

Alla fine degli anni ‘90 nasce quello che oggi viene chiamato Web 1.0. Potremmo chiamarlo l’internet dei contenuti in quanto i siti erano composti da semplici testi statici il che li rendeva simili alle pagine di un libro o a fogli di word.

I siti più articolati potevano contenere anche immagini, video, e collegamenti che rimandavano ad altre pagine. Il loro scopo quindi era la mera consulenza e l’informazione.

Non c’erano interazioni tra gli utenti.

Dopodiché nacquero le prime internet company che erano intente a creare nuove esperienze online per gli utenti. Nascono quindi i primi portali e le community; gli utenti possono crearsi un profilo, visitare i forum e mandarsi messaggi.

Nel maggio del 1996 viene fondata a New York City dal CEO Andrew Weinreich la MacroView: l’azienda che nel gennaio 1997 diede vita al sito SixDegrees.com. Questo sito aveva come scopo la creazione di legami tra le persone ed aveva tutte le caratteristiche di un odierno social network: attraverso il proprio profilo personale si visualizzavano gli altri profili utenti, la lista di amici, la messaggistica e c’era la possibilità di effettuare delle instant chat e pubblicare il proprio stato.

Il suo funzionamento era basato sulla “teoria dei sei gradi di separazione”, di Stanley Milgram (da cui il sito prende probabilmente il nome). La teoria di Milgram diceva che una persona è in grado di contattare qualsiasi persona al mondo che non conosce, con non più di cinque passaggi intermedi.

Il social network aveva però anche lo scopo di raggruppare persone coetanee e di un ceto sociale simile e quindi fu fatta una limitazione: permetteva agli utenti di visualizzare solamente tre gradi di separazione, che volendo tradurre si potrebbe dire: “amico dell’amico del mio amico”.

Attuando questa strategia si ottenevano tre vantaggi per l’utente:

  • Era possibile verificare la veridicità delle informazioni presenti nei profili altrui semplicemente chiedendo ai propri amici
  • Era possibile ottenere informazioni indirette su una persona dall’analisi della sua rete sociale (un po’ come si fa ora con Facebook)
  • Le persone che si riuscivano a contattare provenivano da un contesto socio-economico abbastanza simile

Il sito SixDegrees in poco tempo riuscì a raggiungere più di un milione di utenti iscritti e ad avere circa cento dipendenti, ma fu costretto a chiudere il 30 dicembre del 2000 per mancanza di utili e perché era troppo in anticipo con i tempi.

Nonostante il disastro finanziario del 2000 che fece subire a Internet una battuta d’arresto, è proprio in quegli anni che nacque il Web 2.0.

Nei primi anni 2000 infatti nascono alcuni dei più importanti servizi collaborativi come Wikipedia, YouTube, Google e Facebook.


STORIA DI LINKEDIN

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Nel 1997 Reid Hoffman diede vita a SocialNet.com, un sito web simile a SixDegrees che era specializzato nel combinare appuntamenti online. Lavorò poi ad un progetto che avrebbe consentito lo scambio di denaro sulla rete; il servizio si chiamava PayPal e portò Hoffman ad abbandonare definitivamente SocialNet.

Nel 2002 abbandonò anche il progetto di PayPal per dedicarsi ad un nuovo social media: LinkedIn. Si tratta di una piattaforma sociale dedicata ai professionisti che consentiva loro di discutere di lavoro in rete.

Il nuovo social nasce nel 2003 per opera di Reid Hoffman e di tre suoi colleghi, che stabiliscono la loro sede in California.

Nel 2015 LinkedIn divenne il primo social ad inserire l’arabo (scritto da destra a sinistra) nelle 24 lingue presenti.


STORIA DI MYSPACE

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Sempre nell’anno 2003 nasce anche MySpace, come spazio di espressione artistica online con riferimento soprattutto al mondo della musica.


STORIA DI FACEBOOK

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Nel 2004 nasce invece Facebook, per opera di Mark Zuckerberg (uno studente americano dell’università di Harvard). Zuckerberg aveva già lavorato ad un progetto per la sua università: aveva creato ConnectU e si trattava di un sito a circuito chiuso che era destinato solamente all’università di Harvard; ma l’intenzione era quella di collegare in futuro le altre università statunitensi. Inizialmente il nuovo sito di Mark Zuckerberg si chiamava TheFacebook.com, e prevedeva che gli utenti potessero socializzare tra di loro anche fuori dall’ambito scolastico.

Il social network ebbe subito un grande successo ma fu nel 2006 che, grazie ad alcuni aggiornamenti, il sito divenne ancora più famoso ed iniziò ad avere sempre più successo.

I tre elementi che fecero aumentare la popolarità del social network furono:

  • Il cambiamento del nome del sito da TheFacebook a Facebook
  • l’inserimento di molte nuove funzioni come la bacheca personale, i gruppi di amici, la possibilità di commentare i post e molte altre cose
  • L’accesso libero a tutte le persone di età superiore a tredici anni

In quell’anno il social raggiunse quota dodici milioni di utenti iscritti, diventando così il network di riferimento per le aziende di comunicazione.

Acquisendo Instagram nel 2012, e Whatsapp nel 2014, raggiunse in totale più di cinque miliardi di utenti, affermandosi così il social network più utilizzato al mondo.


STORIA DI YOUTUBE

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Nel 2005 tre ex dipendenti di PayPal decidono di creare una piattaforma dove era possibile pubblicare video personali, e la chiamarono YouTube.

Il primo video ed essere stato pubblicato si intitola “Me at the zoo”, è stato caricato il 23 aprile 2005 e consiste in una clip di 19 secondi nella quale si vede il fondatore del social media allo zoo di San Diego.

Questa è stata una rivoluzione digitale che ha cambiato i paradigmi della condivisione di contenuti. Si possono infatti caricare video di qualsiasi genere, sempre rispettando le norme della community di YouTube: video musicali, scientifici, comici e di qualsiasi genere.

Nel 2006 il social viene acquistato da Google per 1,65 miliardi di dollari. Nonostante l’acquisizione Google ha voluto lasciare una forte libertà d’azione e indipendenza ai fondatori, i quali continuarono ad apportare modifiche che fecero crescere la notorietà del sito.

Nel 2007 Chad Hurley (uno dei tre fondatori) decise che il social avrebbe pagato gli utenti più importanti in base al numero di visualizzazioni che sarebbero riusciti a raggiungere, aumentando così la popolarità.

Ad oggi YouTube conta più di 2 miliardi di utenti attivi ed è diventato il secondo sito web più cliccato al mondo, dietro a Google che ne è proprietario.

Per gli youtuber, coloro che pubblicano video sulla piattaforma, è diventata una possibilità lavorativa e di guadagno.

I profitti sono derivanti dalle pubblicità all’interno dei video, dalle partnership e product placement: è lo youtuber spesso che promuove pubblicità e collaborazioni con altri brand.


STORIA DI TWITTER

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Nel 2006 va in rete Twitter, un servizio che inizialmente era pensato come una piattaforma di comunicazione per i dispositivi mobile. Col passare del tempo, però, sono stati fatti degli adattamenti informatici per renderlo più competitivo, e divenne così un vero e proprio social media. Più precisamente Twitter è un servizio di microblogging, un social progettato sullo scambio di messaggi brevissimi, più corti di un SMS (Short Message Service).

Il suo nome, Twitter, significa “cinguettare” e lo scambio di messaggi avviene tramite “tweet” (cinguettii), cioè messaggi molto brevi. Inizialmente i tweet potevano contenere un massimo di 140 caratteri, ma dal 2017 il numero di caratteri ammessi è raddoppiato.

In seguito sono stati inventati i Retweet: un modo per riproporre i messaggi scritti da altri utenti.

Twitter ebbe inizialmente un grande successo negli Stati Uniti, dove il social si trasformò in un termometro sociale: consentiva di controllare in tempo reale il grado di gradimento di certi prodotti commerciali o di eventi importanti.


STORIA DI INSTAGRAM

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Verso la fine del 2010 Mike Krieger e Kevin Systrom decisero di voler creare un social network immediato ma differente da Facebook e LinkedIn. Iniziarono così a lavorare ad Instagram.

L’idea del social era quella di creare un social media nel quale poter condividere con gli altri utenti le proprie foto e i propri momenti. Le fotografie caricate sul network inizialmente erano con un formato 1:1 (quadrate) per ricordare il formato delle vecchie Polaroid.

Instagram dal 2010 ha introdotto alcuni cambiamenti:

  • La prima foto ad essere stata pubblicata è quella di @kevin, il co-fondatore e ritrae l’immagine del suo cane
  • Nel 2011 il social introduce gli hashtag: dei metadati o etichette, preceduti dal simbolo #, e servono per aggregare i contenuti per argomento e per migliorarne la ricerca
  • Nel 2012 Facebook acquista Instagram per 1 miliardo di dollari
  • Nel 2013 Instagram lancia la funzione video, e nell’arco di sole 24 ore vengono caricati sul social network circa 5 milioni di filmati
  • tra il 2015 e il 2016 arrivano le storie, ovvero dei post della durata di 24 ore. Questa idea è stata presa dal social network Snapchat
  • Nel 2019 sono nate le videochiamate di gruppo, che sono state ampliamente utilizzate durante il lockdown

Attualmente Instagram sta puntando a migliorare la sua messaggistica istantanea nei “direct”.

Ad oggi la maggior parte delle aziende possiede una pagina Instagram e i maggiori marchi più seguiti sul social sono National Geographic, Nike, 9GAG e Victoria’s Secret.

Basti pensare che un terzo delle storie più viste nel mondo appartengono ad aziende.

In una giornata normale su Instagram vengono caricate in media 80 milioni di post e vengono messi 3,5 miliardi di like.

È anche per questo motivo che su questo social è nata la figura professionale dell’influencer: un personaggio famoso e molto seguito che è in grado di influenzare comportamenti e scelte di un determinato pubblico.


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Neuroscienza

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Le neuroscienze sono un insieme di discipline che studiano i vari aspetti morfofunzionali del sistema nervoso.

Le principali branche della ricerca biomedica sono: la farmacologia, la neurofisiologia, la biochimica, la biologia molecolare, la biologia cellulare e la neuroradiologia.

A differenza di altre discipline biologiche, quelle neuroscientifiche attingono anche da ambiti di studio quali psicologia e linguistica.

Le neuroscienze per definizione identificano il neurone come unità cellulare autonoma e indipendente del sistema nervoso.


COS’È E COME FUNZIONA IL NEURONE

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I neuroni si trovano in due distretti principali: sistema nervoso centrale (SNC) e il sistema nervoso periferico (SNP).

Il sistema nervoso centrale comprende il cervello e il cervelletto, invece il sistema nervoso periferico comprende il midollo spinale e le sue diramazioni.

Il compito principale dei neuroni è quello di trasmettere informazioni.

Nel neurone c’è una parte ricevente e una parte emittente. Le strutture riceventi sono i dendriti, che partono dal corpo del neurone (che contiene il nucleo); invece la parte emittente è la zona terminale dell’assone dove sono presenti i cosiddetti bottoni sinaptici (che contengono le vescicole).

L’assone è la diramazione più lunga del neurone che può raggiungere più di un metro di lunghezza. È il distretto cellulare adibito alla trasmissione del segnale dal soma (corpo) della cellula fino ai bottoni e quindi alla cellula successiva.

L’assone si può collegare all’altro neurone attraverso tre giunzioni diverse:

  • Asso-dendritica (assone più dendrite)
  • Asso-somatica (assone più corpo della cellula)
  • Asso-assonica (assone più assone)

In quasi tutti gli assoni ci sono delle cellule che avvolgono più volte lo stesso aiutando la trasmissione del segnale. Nel sistema nervoso centrale queste cellule sono gli oligodendrociti, in quello periferico vengono denominate cellule di Schwann. Gli assoni che contengono questi due tipi di cellule accessorie sono detti “mielinizzati” perché le suddette costituiscono la mielina (lo strato isolante multilamellare formato dai continui avvolgimenti della cellula attorno all’assone).

Si può paragonare questa guaina mielinica al rivestimento isolante dei cavi elettrici: senza di questo i cavi funzionerebbero molto più lentamente o non funzionerebbero affatto.

La membrana cellulare dell’assone è composta dalla mielina ed è polarizzata: vuol dire che all’esterno c’è una carica positiva e all’interno negativa. C’è quindi una differenza di potenziale (ddp).

Quando il segnale arriva all’inizio dell’assone (cono di emergenza, dove emergono tutti gli impulsi che arrivano dai dendriti e dal soma) si invertono le cariche nel singolo punto del segnale.

Il segnale si trasmette attraverso la membrana.

L’inversione della polarità si propaga autonomamente lungo l’assone in direzione del bottone sinaptico.

A questo punto il segnale attiverà delle proteine che faranno fondere le vescicole (sfere composte di materiale simile alla membrana cellulare che servono come contenitori e vettori dei neurotrasmettitori) con la membrana, liberando così il loro contenuto verso il neurone successivo.


PSICOFARMACOLOGIA

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Le neuroscienze includono anche gli studi di psicofarmacologia (un settore scientifico che studia l’effetto dei farmaci sul comportamento e sulle funzioni psichiche superiori), attraverso i quali sono state analizzate l’attività dei nuclei cerebrali, vigilanza, sonno, espressione degli stati d’ansia, regolazione dei livelli emozionali. Attraverso questi studi si è potuta fare la sintesi di psicofarmaci usati per terapie degli stati nevrotici e psicotici.

Grazie a questi studi si è potuta fare una distinzione fra le attività mentali e le attività cerebrali. Le attività mentali comprendono: pensiero, emozioni, autocoscienza e volontà. Di quelle cerebrali invece fanno parte il movimento e la percezione del cinque sensi.

Entrambe le attività sono dovute a un unico meccanismo con il quale gli elementi neuronali e le cellule gliali (che insieme formano l’organo del cervello) comunicano fra loro e con il resto dell’organismo. Le attività mentali sono però frutto di una più complessa attività neuronale.

I neuroni, organizzati in reti, gangli, centri e altre strutture molto complesse, elaborano gli impulsi nervosi, li memorizzano ed emettono risposte comportamentali come il movimento in generale, la ricerca del cibo, l’accoppiamento, la fuga di fronte al pericolo ecc. Le unità di base di queste strutture a livello della corteccia cerebrale sono le colonne corticali, presenti nella corteccia dei Mammiferi in quantità proporzionale al numero dei neuroni.

Si stima che ognuna di queste strutture sia composta da un minimo di 500 a un massimo di 10.000 neuroni.


UN PO’ DI STORIA

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Sebbene le ricerche neuroscientifiche siano molto antiche,  c’è stato un aumento dell’interesse dopo la seconda guerra mondiale.

È stato Camillo Golgi, nel 1897 a scoprire l’apparato di Golgi (un compartimento cellulare presente negli eucarioti, la cui funzione è quella di indirizzare il traffico delle molecole appena sintetizzate verso le giuste destinazioni) attraverso il metodo della “reazione nera”: un liquido che permetteva di colorare e mettere in evidenza i neuroni e le loro ramificazioni.

In modo separato, un neurofilosofo spagnolo contemporaneo di C. Golgi, Santiago Ramón Cajal fece una scoperta approfondendo i suoi studi.

Scoprì infatti che non vi era continuità tra le terminazioni delle cellule nervose e quindi ipotizzò che vi era un meccanismo per il trasporto dei messaggi.

Più avanti i due arrivarono alla scoperta di un impulso elettrico che correva lungo gli assoni per poi passare da un neurone all’altro.

Tra la fine del Ventesimo secolo e l’inizio del Ventunesimo secolo sono stati scoperti più di 60 neurotrasmettitori e sono stati fatti passi da gigante nello studio della genetica molecolare. Questo ha avuto un grosso impatto sulla neuroscienza: al momento si può riuscire ad individuare un gene anomalo o la sua mancanza in modo tale da riuscire a diagnosticare alcune malattie come la distrofia di Duchenne, il morbo di Huntington e il retinoblastoma.

Per la diagnosi di alcune malattie in cui sono presenti lesioni a livello cerebrale e spinale (ictus, morbo di Alzheimer, schizofrenia ed epilessia) è stato fondamentale lo sviluppo della risonanza magnetica nucleare (RMN) e della tomografia assiale computerizzata (TAC).

I neuroscienziati sono in costante crescita e si stanno impegnando per promuovere la conoscenza del sistema nervoso nella didattica e tra gli studenti.


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Sistema della Ricompensa

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Cominciamo dicendo che lo studio del sistema della ricompensa è in corso da circa cinquant’anni e ancora si è in dubbio su alcune questioni, in quanto risulta molto complicato studiare certe aree del cervello così collegate tra di loro.

Tutti i processi che si verificano nel cervello sono di tipo chimico, poiché tutto avviene perché c’è una risposta elettrochimica a un certo stimolo.

Elettro: perché i neuroni passano il segnale da una parte all’altra della cellula tramite uno scompenso di carica della sua stessa membrana.

Chimico: perché tra un neurone e l’altro viene trasmessa l’informazione tramite le sostanze chimiche.

COME FUNZIONA IL SISTEMA DELLA RICOMPENSA?

Se troviamo qualcosa che ci piace molto tentiamo a continuare a farlo e quindi se ci piace siamo tentati a rifarlo.

Per istinto l’essere umano cerca in tutti i modi di rimanere felice, quindi se una determinata cosa non non ci piace, per fare in modo di rimanere felici si tenderà a non farla.

All’interno del cervello tutte le varie parti sono collegate tra di loro.

Le principali zone della corteccia cerebrale coinvolte nel sistema della ricompensa sono: il gruppo di strutture neurali responsabili della motivazione, dell’apprendimento associativo e delle emozioni positive.

L’apprendimento associativo viene coinvolto perché c’è un fenomeno che si chiama rinforzo positivo: sei bravo a fare una cosa e ti premio. Questo fenomeno si verifica nella vita reale e cioè quando siamo stati bravi a fare qualcosa e veniamo premiati. Ciò crea reazioni positive all’interno del cervello.

Al contrario abbiamo il rinforzo negativo: se facciamo qualcosa di sbagliato veniamo “sgridati”. In questo caso il cervello ci invia degli impulsi negativi e noi ci sentiamo più tristi.

Molti studi hanno dimostrato che il rinforzo che genera più dipendenza all’interno del cervello è quello positivo.

Questo fenomeno è il concetto di base di come funziona la dipendenza delle droghe, e così come le droghe anche la dipendenza dai social media.

Come già detto abbiamo l’istinto a cercare la felicità e quindi istintivamente tenderemo a continuare a postare foto, post e commenti per ricevere in cambio dei riscontri positivi da parte degli altri utenti, così da alimentare sempre di più questo desiderio di felicità.

La ricompensa è la proprietà attraente e motivazionale di uno stimolo, che induce un comportamento appetitivo noto anche come comportamento di approccio o comportamento di consumazione.

Qualsiasi stimolo, oggetto, evento, attività o situazione che ha il potenziale per farci avvicinare e consumare è per definizione una ricompensa.

Le ricompense primarie sono quelle date dalla sopravvivenza di noi stessi e della prole. Comprendono le ricompense omeostatiche: cibo, acqua e riproduttive.

Le ricompense intrinseche sono incondizionate e non importa il contesto o la situazione, sono sempre piacevoli. Non è fabbisogno della propria sopravvivenza ma non sono neanche dettate da canoni comuni.

Le ricompense estrinseche sono condizionate perché sono dettate da luoghi comuni per esempio il denaro. Un pezzo di carta non ha valore ma la comunità glielo da e quindi ci si sente in bisogno di accumularne. Indirettamente queste cose ti fanno provare piacere.

Il sistema della ricompensa è un vero e proprio sistema, costituito da un insieme di strutture cerebrali collegate tra di loro. Sono collegate tramite un circuito ben definito che portano alla cognizione legata alla ricompensa.

Se non ci fosse questo sistema tutte le azioni che si farebbero non avrebbero un fine e si arriverebbe a uno stato di apatia. Quando il sistema della ricompensa è malfunzionante si verificano casi di depressione e malattie degenerative.

Le strutture cerebrali che compongono il sistema della ricompensa sono:

  • Corteccia prefrontale
  • Area tegmentale ventrale
  • Nucleus accumbens
  • Corpo striato
  • Subrantia nigra
  • Corteccia cingolata anteriore
  • Corteccia insulare
  • Ippocampo
  • Ipotalamo
  • Nucleo subtalamico
  • Globo pallido
  • Nucleo parabrachiale
  • Amigdala

Queste sono le parti principali del sistema della ricompensa. Costituite da neuroni e collegati tra di loro tramite gli assoni (il prolungamento centrale) dei neuroni stessi. Tra un neurone e l’altro si scambiano i neurotrasmettitori. Il più sostanziale è la dopamina.

Quando la dopamina arriva al Nucleus accumbens può intraprendere due vie a seconda di che recettore va a legarsi: D1 e D2.

Il D1 è il recettore eccitatorio, quindi fa eccitare le cellule coinvolte e provoca azioni determinate a seconda della situazione.

Il D2 è il recettore inibitorio e quindi fa l’opposto.

Il Nucleus accumbens ha la funzione di attivare la motivazione e, quando viene stimolato, inibisce i neuroni che stanno a valle del circuito della ricompensa e guida la risposta della dopamina.

I social media generano una ricompensa estrinseca, ma dipende anche da che azione viene effettuata nei social.

Il ricevere tanti like è una ricompensa estrinseca perché la biologia non ne da alcun valore ma la società si, e quindi il sistema della ricompensa viene stimolato e cercherà di gratificare te stesso.

Inoltre il circuito indurrà la persona a fare lo stesso comportamento ripetutamente nel tempo. Quindi saremo portati a ripetere le stesse azioni che ci rendono felici e così facendo si inizierà a creare una dipendenza.

Guardare i meme divertenti sui social evoca delle ricompense intrinseche perché la biologia non ne da valore ma neanche la comunità. É un concetto personale e da soli si decide se quella determinata cosa ci fa ridere o meno.

Quando si ha un calo di dopamina si ha depressione e anedonia (ridotta capacità di provare piacere). La mappatura del cervello e gli studi hanno riportato una ridotta attività dello striato ventrale e ridotta risposta neuronale del nucleo caudato nel putamen (la cui funzione primaria è quella di controllare è regolare i movimenti e influenzare l’apprendimento) nel Nucleus accumbens e corteccia prefrontale, nelle persone con depressione.


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Depressione e Cyberbullismo

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Secondo le ultime stime fatte nel 2021, che possiamo trovare nel rapporto UNICEFLa Condizione dell’infanzia nel mondo- Nella mia mente: promuovere, tutelare e sostenere la salute mentale dei bambini e dei giovani” più di 1 adolescente su 7 (tra i 10 e i 19 anni), convive con un disturbo mentale diagnosticato.

Tra i disturbi più frequenti troviamo l’ansia e la depressione, che da soli rappresentano il 40% delle malattie diagnosticate.

Uno dei motivi principali di questi disturbi è il crescente utilizzo dei social media da parte degli adolescenti. Essi sono diventati uno strumento importante per la socializzazione; il proprio profilo è diventato il biglietto da visita con cui identificarsi.

Come abbiamo già visto, nella vita reale esiste il bullismo, e così anche su internet. Come reagiscono gli adolescenti al cyberbullismo? Se per i ragazzi e le ragazze più forti una soluzione potrebbe essere il contrattacco, per gli individui più timidi e deboli la situazione è diversa. Per entrambi vivere una violenza via web non è affatto bello, ma gli studi hanno dimostrato che in molti casi gli adolescenti che subiscono prese in giro da altri, arrivano a disperarsi.

In Italia circa 800 mila tra ragazzi e ragazze soffrono di depressione e ansia. Molti di loro hanno anche pensato al suicidio.

Il motivo principale sembra essere, appunto, la situazione degli smartphone che permettono ai giovani di essere sempre online, e quindi di essere più facilmente presi di mira.

L’autore dello studio Jean Twenge dell’Universita’ di San Diego, avverte: “Dobbiamo smettere di pensare che gli smartphone e gli altri dispositivi elettronici siano innocui”.

Sarebbe opportuno che psicologi e psichiatri avessero maggiori competenze per analizzare e studiare i rischi provocati da tali social media, in particolare i social network, sui ragazzi.

Uno studio del Royal College pf Psychiatrists, condotto nel Regno Unito afferma che c’è un nesso tra la salute mentale dei giovani e l’uso dei social media.

L’uso della tecnologia da parte dei giovani sta aumentando ogni anno e i social media fanno ormai parte della vita di molte famiglie.

Il tempo trascorso davanti allo schermo può coprire un’ampia gamma di attività, dalla lettura di romanzi su un e-reader, alla ricerca per un progetto scolastico fino al gioco cooperativo con altri in tutto il mondo. Anche sulla stessa piattaforma, bambini e giovani potrebbero vivere esperienze molto diverse a seconda del contenuto a cui accedono.

Pertanto, quando si considerano i rischi e i benefici dell’uso della tecnologia, è essenziale comprendere il contenuto con cui i bambini e i giovani si confrontano.

Per i ragazzi ci sono molti aspetti positivi di queste innovazioni:

  • Comunicazione istantanea con familiari e amici in tutto il mondo
  • La capacità di giocare ed essere creativi
  • Accesso a informazioni di alta qualità
  • La capacità di socializzare in un ambiente diverso
  • Supporto online per una serie di problemi di salute e temi di identità

Tuttavia, questi dispositivi possono porre potenziali sfide alla salute e al benessere di bambini e giovani:

  • Il tempo dedicato alla tecnologia digitale può andare a scapito del tempo dedicato ad altre attività, comprese le interazioni faccia a faccia con la famiglia e i colleghi, l’esercizio fisico e il sonno
  • Possono essere visualizzati contenuti online che provocano angoscia, inclusa l’esposizione a immagini violente, grafiche o sessuali e l’esposizione a incitamenti all’odio
  • Esposizione al cyberbullismo
  • Il rischio di sfruttamento compreso lo sfruttamento sessuale. È successo, e succede, che degli utenti minaccino di pubblicare foto private, affinché i giovani ragazzi facciano quello che vogliono
  • Il denaro può essere speso online in modo rapido e semplice, ad esempio per l’acquisto di giochi, il gioco d’azzardo online e per prodotti come farmaci da prescrizione e illegali
  • Ci sono prove che suggeriscono che la tecnologia digitale può influenzare il peso, l’umore, i pensieri suicidi, l’autolesionismo e l’immagine corporea
  • Internet può far sviluppare problemi di salute mentale come depressione, ansia e in certi casi anche l’ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività)
  • Il concetto di dipendenza dalla tecnologia sta emergendo insieme allo sviluppo di servizi clinici per bambini e giovani con dipendenza

I genitori di vittime di suicidio, inoltre, non possono accedere ai profili personali dei figli in quanto i proprietari dei social network non sono tenuti a fornire i dati ai parenti dei defunti.


LA STORIA DI AMANDA TODD

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Amanda Todd era una ragazzina canadese, più precisamente di Vancouver, di soli quindici anni. È nata nel 1996 e frequentava la decima classe, che in Italia equivale alla seconda superiore, presso un istituto con programmi di studio alternativi, riservato ai ragazzi che hanno problemi di apprendimento.

La ragazza, navigando sui social ha conosciuto un uomo, il quale l’ha corteggiata fino a convincerla ad inviargli alcune foto a seno nudo. L’uomo avrebbe poi minacciato la giovane di postare su internet le sue foto in topless, a meno che lei non si sarebbe mostrata di nuovo a lui.

Il Natale successivo, la polizia ha informato la famiglia che le foto della figlia minorenne circolavano in rete. Per cercare di aiutarla, i genitori decisero di trasferirsi.

Dopo un anno l’uomo si fece di nuovo vivo, creando un account Facebook di Amanda, pubblicando come foto profilo una delle sue foto in topless.

Amanda scopre che i suoi nuovi compagni di classe hanno visto le sue foto; hanno poi iniziato ad insultarla e a prenderla in giro. Sarebbero poi stati loro a pubblicare nuovamente le foto intime della ragazza sul web.

Tra tutti i compagni che la isolavano, ce n’era uno che la comprendeva e che cercava di aiutarla ad uscire da questa situazione. Il ragazzo in questione era però già fidanzato.

I due si innamorano e dopo un po’ di tempo si incontrano per un rapporto. Ma quando lei uscì da scuola il giorno dopo, trovò una folla di ragazzi che la insultarono e la aggredirono. Tra la folla c’era anche il suo ragazzo e la ragazza di lui, che le avevano teso una trappola.

La ragazza non riesce a reggere l’umiliazione, che è troppo pesante per lei e cade in una forte depressione.

Interrompe ogni relazione sociale e comincia a drogarsi nonostante la sua giovane età.

Tenta poi il suicidio ingerendo della candeggina, ma viene salvata in tempo dai soccorsi.

I suoi persecutori non si arrendono e pubblicano su Facebook l’etichetta della candeggina da lei usata per il tentato suicidio, suggerendo le di aumentare le dosi.

Amanda legge su Facebook un sacco di commenti negativi e offensivi sul suo tentato suicidio; la famiglia è quindi costretta a trasferirsi nuovamente.

La giovane, nonostante prendesse antidepressivi e consultasse lo psicologo, non smise di stare male, anzi, il suo stato mentale peggiorò e divenne anche autolesionista.

Successivamente fece un’overdose di medicinali e trascorse due giorni in ospedale.

Come se non bastasse, i suoi nuovi compagni di classe la deridono per i suoi voti, sempre più bassi, conseguenza del tempo trascorso in ospedale.

Poche settimane dopo, il 7 settembre 2012, la ragazza, ormai stremata, da ascolto ai commenti sul social; pubblica un video di addio su YouTube, intitolato My Story: Struggling, bullying, suicide and self harm (La mia storia: lotta, bullismo, suicidio e autolesionismo), e si uccide.


GLI ANONYMOUS

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Gli Anonymous sono un organizzazione, anonima, di hacker che negli ultimi anni si sono uniti per fare “guerra” ai cyberbulli. Il loro scopo è quello di smascherare gli utenti cyberbulli e pubblicare il loro nome.

In alcuni casi l’organizzazione è riuscita nel suo intento. Uno di questi casi è quello della ragazza quindicenne Kylie Kylem, la quale era assillata su Twitter da un’identità segreta; il nickname dell’utente che la opprimeva era Bigjohn666.

La ragazza aveva twittato sul social i suoi pensieri suicidi, probabilmente, però, non si aspettava che i suoi compagni di scuola scrivessero su Twitter gioiosi incoraggiamenti al suicidio.

Gli Anonymous hanno attaccato questo account fino a che il cyber-bullo si è arreso.

Quello che dichiarò fu: “Non volevo fare male a nessuno…mi dispiace per quello che ho scritto”.


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Social Media

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Per definizione i social media sono dei portali web-based che servono come mezzi di comunicazione. Con i social media è possibile creare e condividere contenuti, interagire con altri utenti, scambiare informazioni e socializzare.

Con l’espressione “social media” non si intende solamente indicare piattaforme come Instagram e Facebook dove si possono condividere post; comprendono infatti forum di discussione, luoghi di incontro virtuali e community dove è possibile creare contenuti.


COSA DIFFERENZIA I NUOVI MEDIA CON I MEDIA TRADIZIONALI

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In latino medium significa “strumento” e i media tradizionali (televisione, giornali e radio) sono da sempre un mezzo per trasmettere contenuti a un pubblico, il quale li riceve in modo unidirezionale e cioè senza la possibilità di interazione e di condivisione.

Il social media invece, come dice il nome, aggiunge una componente sociale e quindi consente uno scambio di contenuti tra il produttore e il fruitore. Questo nuovo tipo di comunicazione non è più unidirezionale ma bidirezionale.

I professori ed esperti di marketing Andreas Kaplan e Michael Haenlein nel 2009 definiscono i social media come “un gruppo di applicazioni internet-based che costituiscono i fondamenti ideologici e tecnologici del web 2.0 e che consentono la creazione e lo scambio di user-generated content”.

Con i media sociali quindi tutti gli utenti sono allo stesso livello e sono simili nella creazione e nella diffusione dei contenuti; si contrappongono quindi ai classici mass media.

Con l’avvento dei social media sono cambiati sia i ruoli che le modalità della comunicazione: non si può più parlare di un messaggio unilaterale di tipo “one to many” (“uno a molti”, il che comporta la presenza di più riceventi e di un unico mittente) ma di un messaggio plurilaterale di tipo “many to many”: più persone che si scambiano contenuti e informazioni.

Il monologo quindi non rimane più tale ma diventa un dialogo tra i diversi utenti, media e aziende. Emittente e ricevente si alternano tra loro in un continuo flusso di ruoli privo di gerarchie.

Ciò che è cambiato negli ultimi anni non sono solo le abitudini dei consumatori, che hanno iniziato ad usufruire dei media in maniera importante; ma sono cambiati anche tanti aspetti della nostra società.

Sono mutati aspetti pratici, tecnologici, paradigmi comunicativi, le dinamiche sociali e gli equilibri di potere: c’è stato un ingresso di nuovi personaggi che si sono affiancati e hanno addirittura sostituito quelli tradizionali.

Con gli anni le nuove tecnologie si sono evolute e sono diventate accessibili da tutti gli utenti, il che ha comportato un incremento di contenuti che vengono creati dagli stessi consumatori dei social media; prima fruivano dei contenuti mentre ora li producono.

Non esistono però sono aspetti positivi: dal momento che tutti possono creare, condividere e modificare nuovi contenuti, l’utente è sottoposto costantemente a una pressione sociale, per non parlare delle sue informazioni personali che non sono più sotto il suo controllo.

Inoltre stanno sono già nate problematiche legate alla dipendenza digitale che coinvolgono non solo gli adolescenti ma anche bambini e adulti.


DIFFERENZA TRA SOCIAL MEDIA E SOCIAL NETWORK

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Solitamente, i social media vengono spesso scambiati o accumunati ai social network.

C’è da dire infatti che i due non sono sinonimi, ma che uno fa parte dell’altro.

I social network infatti sono solo una piccola parte di quelli che vengono chiamati media sociali. I social media comprendono quindi una grande varietà di piattaforme diverse tra loro.

Se è vero che entrambi rappresentano un mezzo per creare e condividere contenuti, il social network rappresenta una rete di persone organizzate e connesse tra di loro.

Secondo Andrea Ceron affinché un social media possa essere definito anche come social network deve:

  • prevedere degli utenti specifici, e cioè un utente o un’organizzazione deve per forza aver creato un profilo anch’esso specifico per poter accedere al social network
  • gli utenti registrati al network sono collegati nella rete attraverso un legame che può essere simmetrico o complementare
  • tutti gli utenti registrati al social devono avere la possibilità di comunicare in modo interattivo

Per capirci meglio Andreas Kaplan e Michael Haenlein Sempre nel 2009 definiscono l’esistenza di sei diversi tipi di social media:

  • Social network (per esempio Facebook e Instagram)
  • Blog e microblog (come ad esempio Twitter)
  • Mondi virtuali di gioco (come Age of Empire)
  • Mondi virtuali sociali (SecondLife)
  • Progetti collaborativi (Wikipedia)
  • Content Community (condivisione di materiale multimediale, come YouTube) Quindi social network = persone mentre social media = strumenti.

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